RILEVANZA DISCIPLINARE DELLE DICHIARAZIONI PUBBLICHE Nota a Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, n. 9 del 20.07.2021

Il Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, si è occupato della rilevanza disciplinare delle dichiarazioni pubbliche alla luce del disposto di cui all’art. 23 CGS, il cui comma 1 prevede che “Ai soggetti dell’ordinamento federale è fatto divieto di esprimere pubblicamente giudizi o rilievi lesivi della reputazione di persone, di società o di organismi operanti nell’ambito del CONI, della FIGC, della UEFA o della FIFA”. Il comma 2 dello stesso articolo precisa poi che “La dichiarazione è considerata pubblica quando è resa in pubblico ovvero quando per i destinatari, il mezzo o le modalità della comunicazione è destinata ad essere conosciuta o può essere conosciuta da più persone”.
La vicenda da cui scaturisce la decisione derivava da una nota pubblicata sul sito internet della società ove venivano espresse dichiarazioni ritenute lesive della reputazione di un delegato di Lega e del rappresentante della Procura Federale designati per il controllo della gara, nonché della credibilità delle istituzioni coinvolte.
Il Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare afferma preliminarmente come ai fini dell rilevanza delle condotte contestate occorra anzitutto accertare la ricorrenza di due elementi, ovvero (i) il “carattere pubblico” dei giudizi o rilievi formulati e (ii) la relativa idoneità diffamante la quale non deve essere esclusa da esimenti rilevanti secondo l’ordinamento giuridico.
Ritenuto integrato il primo profilo (essendo le dichiarazioni certamente qualificabili come pubbliche “in quanto destinate ad essere conosciute da più persone per il mezzo e la modalità di comunicazione”), circa il secondo l’organo giudicante osserva come in tema di diffamazione occorra verificare la ricorrenza di quell’esimente rappresentata dal diritto di critica, “la quale postula l’utilizzo di una forma espositiva corretta, funzionale alla finalità di disapprovazione, che non si risolva in una gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione”, specificando ad ogni modo che “la ricorrenza dell’esimente in parola non comporta, tuttavia, l’esclusione dell’utilizzo di termini che, sebbene in sé astrattamente offensivi, abbiano, nello specifico contesto in cui vengono utilizzati, la funzione di esprimere un mero giudizio critico negativo”: nel caso di specie, ritiene il Tribunale che le espressioni utilizzate non abbiano integrato un’aggressione alla sfera morale dei soggetti interessati, bensì abbiano rappresentato “una mera censura al loro operato, espressa con termini che non risultano, nel contesto specifico nel quale le espressioni critiche sono state rese pubbliche, trascendere la forma civile dell’esposizione”, col che esse “non costituiscono un gratuito attacco al Commissario di campo ed al delegato della Procura federale, perpetrato con finalità meramente denigratorie, ma realizzano piuttosto una critica, sia pure aspra, all’operato di tali soggetti”, ritenendo dunque configurata l’esimente del diritto di critica.
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