Riforma e riordino della disciplina degli enti sportivi professionistici e dilettantistici e del rapporto di lavoro sportivo: il D.Lgs. 28 febbraio 2021, n. 36

E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 marzo 2021 il D.Lgs. 28 febbraio, n. 36, attuativo dell’art. 6 della L. 8 agosto 2019, n. 86, recante “riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo”. Il giorno successivo, il 19 marzo 2021, è stato approvato dal Consiglio di Ministri il D.L. 22 marzo 2021, n. 41 (c.d. Decreto Sostegni), il cui art. 30 co. 7 ha prorogato l’entrata in vigore del provvedimento in parola al 1° gennaio 2022, ad esclusione di quelle di cui agli articoli 25 (Lavoratore sportivo), 26 (Disciplina del rapporto di lavoro subordinato sportivo), 27 (Rapporto di lavoro sportivo nei settori professionistici), 28 (Direttore di gara), 29 (Prestazioni sportive amatoriali), 30 (Formazione dei giovani atleti), 32 (Controlli sanitari dei lavoratori sportivi), 33 (Sicurezza dei lavoratori sportivi e dei minori), 34 (Assicurazione contro gli infortuni), 35 (Trattamento pensionistico), 36 (Trattamento tributario), 37 (Rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale), che entreranno in vigore il 1° luglio 2022.
Come noto, il quadro normativo previgente riferito al lavoro sportivo è portato dalla L. 23 marzo 1981, n. 91 (Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), aggiornata nella versione ultima alla L. 28 febbraio 2020, n. 8, e reperibile al seguente link: essa era intervenuta a regolare e tutelare gli interessi sociali, economici e professionali degli atleti e dei lavoratori sportivi in genere, tramite una suddivisione in quattro capi, di cui il primo (artt. da 1 a 9) dedicato allo sport professionistico, il secondo (artt. da 10 a 14) alle società sportive e alle Federazioni sportive nazionali, il terzo (composto dal solo art. 15) alle disposizioni tributarie, l’ultimo (artt. da 16 a 18) alle disposizioni transitorie e finali.
La rubrica del provvedimento del 1981 evidenzia l’elemento principale di novità del nuovo quadro normativo, nella misura in cui va, quest’ultimo, a disciplinare un settore di attività che non è solo quello professionistico bensì anche dilettantistico ed amatoriale: si introduce infatti una figura trasversale al settore in parola, definendo i “lavoratori sportivi” come quei soggetti che “senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercitano l’attività sportiva verso un corrispettivo”, col che il vero discrimine diventa l’elemento dell’onerosità della prestazione, al cui ricorrere può dirsi configurata l’attività come lavorativa, con conseguente riconoscimento delle tutele lavoristiche, assicurative, fiscali e previdenziali [artt. 1 co. 1 lett. dd) e 25].
Mentre nel quadro portato dalla L. 91/1981 si individuavano requisiti oggettivi (riconoscimento da parte della Federazione di appartenenza di un settore di attività specificatamente regolato in forma professionistica, onerosità e continuità dell’esercizio dell’attività sportiva) e soggettivi (atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici) per andare ad individuare la figura dello “sportivo professionista”, oggi si mira ad individuare la figura del “lavoratore sportivo” tramite requisiti soggettivi (atleta, allenatore, istruttore, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico, direttore di gara) e un unico requisito oggettivo (onerosità), dopodichè si mantiene fermo quello che era il principale requisito oggettivo per la qualificazione di “sportivo professionista”, ovvero il riconoscimento da parte della Federazione di un settore professionistico [artt. 1 co. 1 lett. ll) e 38]. L’altro requisito oggettivo, ovvero la continuità dell’esercizio dell’attività sportiva (insieme alla principalità/prevalenza) assurge a presupposto della presunzione di subordinazione che continua a caratterizzare i soli atleti (nei settori professionistici) e non anche le altre figure di “lavoratori sportivi” (art. 27 co. 2).
L’art. 13 (Costituzione e affiliazione delle società sportive professionistiche), riprendendo al comma 1 la previgente disposizione ex art. 10 co. 1 L. 91/1981, impone la natura di società di capitali (S.p.A. o S.r.l.) delle società sportive professionistiche: pur correttamente non riportando il riferimento all’art. 2477 c.c. (in quanto riferito alle sole S.r.l.), sarebbe stato auspicabile che la norma avesse previsto la possibilità che, ferma l’obbligatorietà dell’organo di controllo per tutte le società militanti in ambito professionistico, sia nominato un sindaco unico.
Preme poi rilevare la mera riproposizione al comma 3 (“L’atto costitutivo prevede altresì che una quota parte degli utili, non inferiore al 10 per cento, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva”) di quanto già previsto dal previgente art. 10 co. 3: sotto il profilo pratico trattasi di norma che non è mai stata chiara nell’applicazione concreta. In ambito calcistico, le stesse raccomandazioni contabili FIGC prevedono la specifica denominazione della riserva in parola, da riportare nei bilanci, ma non ne spiegano l’effettivo funzionamento (utilizzo) contabile.
Al comma 7 viene poi riportata la previsione riferita al c.d. organo consultivo dei tifosi: i previgenti commi 7 e 8 L. 91/1981 erano stati aggiunti dalla L. 8 agosto 2019, n. 86 (entrata in vigore 31 agosto 2019), la cui entrata in vigore era stata posticipata al 28 febbraio 2021 dal D.L. 162/2019 (c.d. “Milleproroghe”), convertito in L. 28 febbraio 2020, n. 8 (“In materia di sport, si proroga a 18 mesi dal 31 agosto 2019 il termine entro cui le società sportive professionistiche devono prevedere nei propri atti costitutivi un organo consultivo che provvede alla tutela degli interessi specifici dei tifosi”): appare evidente l’unicità oltre che l’anomalia della previsione nel quadro normativo statuale in termini di obbligatorietà di organi consultivi all’interno di società di capitali a partecipazione privata.
Al comma 10 si prevede infine che “Avverso le decisioni della Federazione Sportiva Nazionale è ammesso ricorso alla Giunta del CONI, che si pronuncia entro sessanta giorni dal ricevimento del ricorso”: in proposito preme osservare come l’art. 12bis Statuto CONI (rubricato “Collegio di Garanzia dello Sport”) preveda al comma 1 che “È istituito presso il CONI, in posizione di autonomia e indipendenza, il Collegio di Garanzia dello Sport, organo di ultimo grado della giustizia sportiva, cui è demandata la cognizione delle controversie decise in via definitiva in ambito federale, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle assunte dal Giudice sportivo o dalla corte sportiva d’Appello che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro”, e al comma 2 che “È ammesso ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento sportivo emesse dagli organi di giustizia federale esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”: la formulazione proposta, riportante la formulazione del vigente art. 10 co. 11 L. 91/1981, pare dunque anacronistica in funzione del suddetto art. 12bis Statuto CONI, che individua la competenza del Collegio di Garanzia dello Sport.
Gli artt. 15, 16, 17 e 18 costituiscono un ambito di nuova disciplina a livello statuale, collocate nel Titolo III (rubricato “PERSONE FISICHE”): il Capo I (rubricato “Atleti”) si dedica al tesseramento, ma appunto dei soli atleti, mentre il Capo II (rubricato “Tecnici, dirigenti, direttori di gara”) non ne fa menzione, mentre evidentemente anche tali soggetti sono in sento tecnico “tesserati” per la Federazione di appartenenza: per di più, tra le “PERSONE FISICHE” non vengono ricompresi i direttori tecnici, i direttori sportivi e i preparatori atletici, che sono invece citati tra i “lavoratori sportivi”. Peraltro non vengono qualificati i “dirigenti sportivi”, con l’evidente difficoltà di andare ad individuare i soggetti di riferimento, non menzionati tra i “lavoratori sportivi”: il richiamo è meramente operato senza alcun contenuto né descrittivo né precettivo (che non sia l’osservanza delle norme settoriali), salvo che con tale locuzione non si vogliano appunto ricomprendere il direttore tecnico e il direttore sportivo.
Con particolare riguardo all’art. 15 (rubricato “Tesseramento”), ai sensi del cui comma 1 “Con l’atto di tesseramento l’atleta instaura un rapporto associativo con la propria associazione o società sportiva”, preme rilevare che, come noto, il tesseramento è l’atto di adesione attraverso il quale il soggetto esercita il diritto di praticare l’attività sportiva nel circuito delle manifestazioni organizzate dal CONI, dalle FSN, dalle DSA, dagli EPS. La richiesta di tesseramento di norma è contenuta in un modulo di adesione, predisposto dalle singole entità, compilata e sottoscritta dai soggetti interessati. E’ necessario l’intervento, come inoltrante, della società o associazione sportiva: il soggetto dunque si tessera alla Federazione per il tramite della società/associazione sportiva per la quale presterà attività (tranne casi particolari, ove il tesseramento avviene direttamente nei confronti delle Federazioni, la regola è quella del tesseramento per il tramite delle società di appartenenza). Ciò vuol dire che il soggetto si vincola con la società sportiva e contemporaneamente si associa alla Federazione: alla luce di quanto precede, parrebbe doversi ritenere che il rapporto associativo della persona fisica intercorra non con la società/associazione sportiva, bensì con la Federazione di riferimento, per il tramite della società/associazione sportiva.
L’art. 16 (rubricato “Tesseramento degli atleti minorenni”) invece, prevede che: “La richiesta di tesseramento del minore deve essere presentata tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del minore. Essa può essere compiuta disgiuntamente da ciascun genitore nel rispetto della responsabilità genitoriale. Si applicano, in caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell’articolo 316 del codice civile (…)”. Dal tenore letterale dell’anzidetta previsione può pertanto agevolmente evincersi che la richiesta di tesseramento del minorenne possa essere legittimamente sottoscritta anche solo da uno degli esercenti la responsabilità genitoriale purché ciò si ponga in linea con le ambizioni e le capacità del minore stesso. Tuttavia lo stesso art. 16 richiama l’art. 316 c.c., ai sensi del quale è imprescindibile che le decisioni inerenti il minore vengano prese di comune accordo da entrambi i genitori: in mancanza il genitore dissenziente “può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei”. In ambito settoriale calcistico, si rileva come in termini parzialmente difformi rispetto a quanto previsto dall’anzidetto art. 16 si ponga l’attuale art. 39 co. 2 NOIF, il quale stabilisce che nel caso di minori la richiesta di tesseramento debba essere sottoscritta dall’esercente la responsabilità genitoriale se il tesseramento ha durata annuale e da entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale se il tesseramento ha durata pluriennale. Sia in termini di tesseramento del minore che di “specialità” della normativa sportiva si è recentemente pronunciata la Corte Federale d’Appello della FIGC la quale, nel ribadire l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale rispetto a quello statale, ha stabilito che “il caso di un genitore che abbia richiesto il tesseramento del figlio minore per un anno senza averne facoltà, secondo il codice civile o un eventuale provvedimento dell’autorità giudiziaria, può dar luogo ad una eventuale responsabilità di tale genitore ai sensi dell’ordinamento statale ma non può impedire il tesseramento del minore secondo l’ordinamento sportivo né determinare una responsabilità disciplinare della società che lo ha tesserato in conformità al dettato dell’art. 39, comma 2, delle NOIF” (decisione n. 086 del 23 marzo 2021 della IV Sezione della Corte Federale d’Appello della FIGC in materia di tesseramento di minori). Il secondo comma dell’articolo 16, a maggior chiarimento della prioritaria importanza della volontà del minore già espressa al primo comma, specifica che ove questo abbia un’età superiore ai 12 anni dovrà necessariamente esprimere il proprio consenso ai fini della validità del tesseramento. A sua volta il comma 3 dell’articolo in esame, in linea con quanto già previsto con la Legge di Bilancio 2018, focalizzando l’attenzione sui minori ancora privi di cittadinanza italiana, sostanzialmente parifica le procedure di tesseramento previste per questi ultimi a quelle applicabili ai minori provvisti di cittadinanza italiana, il tutto a fronte della presentazione di un documento ulteriore che attesti l’iscrizione ad un istituto scolastico italiano da almeno un anno. Infine il comma 4, coerentemente con la L. 12/2016, prevede che: “Il tesseramento di cui al comma 3 resta valido, dopo il compimento del diciottesimo anno di età, fino al completamento delle procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei soggetti che, ricorrendo i presupposti di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, hanno presentato tale richiesta”.
L’art. 25, a parte l’ambito definitorio, introduce effettivamente la figura del “lavoratore sportivo”, qualificandolo appunto come “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo al di fuori delle prestazioni amatoriali di cui all’articolo 29”.
Possiamo dunque affermare che le fattispecie configurabili sono le seguenti:
a) Lavoratore sportivo professionista: soggetto riconducibile ad una delle figure previste (atleta, allenatore, istruttore, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico, direttore di gara) operante in Federazione che ha istituito un settore professionistico, che presta attività a titolo oneroso.
La sua attività può costituire oggetto (i) di un rapporto di lavoro subordinato (forma di prestazione occasionale ex art. 54bis L. 96/2017), (ii) di un rapporto di lavoro autonomo (anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 co. 1 n. 3) c.p.c.).
Ove trattasi di atleti, vige una presunzione di subordinazione per coloro che svolgono l’attività sportiva come principale/prevalente e continuativa: possono tuttavia ricorrere 3 ipotesi di lavoro autonomo già previste dalla L. 91/1981 (attività svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo, sportivo non vincolato alla frequenza a sedute di preparazione o allenamento, prestazione che non supera 8/ore settimanali oppure 5/giorni ogni mese ovvero 30/giorni ogni anno). Per le figure di lavoratori sportivi diversi dagli atleti, permane dunque il principio per cui la subordinazione deve essere accertata caso per caso, in concreto, dal giudice, facendo uso dei criteri ordinari.
b) Lavoratore sportivo dilettante: soggetto riconducibile ad una delle figure previste (atleta, allenatore, istruttore, direttore tecnico, direttore sportivo, preparatore atletico, direttore di gara) operante in Federazione che NON ha istituito un settore professionistico, che presta attività a titolo oneroso.
Anche la sua attività può costituire oggetto (i) di un rapporto di lavoro subordinato (forma di prestazione occasionale ex art. 54bis L. 96/2017), (ii) di un rapporto di lavoro autonomo (anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 co. 1 n. 3) c.p.c.)
c) Amatore: soggetto che impiega “il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali” a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, FSN, DSA e EPS sia per lo svolgimento diretto dell’attività sportiva, che per la formazione, didattica e preparazione degli atleti.
La sua attività è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e le sue prestazioni non sono retribuite in alcun modo, mentre possono essere riconosciuti (i) premi e compensi occasionali in relazione ai risultati sportivi conseguiti, (ii) indennità di trasferta e rimborsi spese [da qualificarsi ai fini fiscali come redditi diversi ex art. 67 co. 1 lett. m) TUIR solo se entro il limite reddituale ex art. 69 TUIR pari ad € 10.000, superato il quale le prestazioni sportive sono considerate di natura professionale)]. In capo agli enti dilettantistici che si avvalgono di tali soggetti vige obbligo di assicurazione di RCT. Per i lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione viene prevista la possibilità di collaborare con enti sportivi dilettantistici, al di fuori dell’orario di lavoro, esclusivamente nella forma prevista per le prestazioni sportive amatoriali.
d) Apprendista: soggetto che ha stipulato con la propria società/associazione sportiva un contratto di apprendistato (i) per la qualifica ed il diploma professionale, (ii) per il diploma di istruzione secondaria superiore, (iii) per il certificato di specializzazione tecnica superiore, (iv) di alta formazione e di ricerca, (v) per i corsi di laurea in scienze motorie e di laurea magistrale, organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie, scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattative e scienze e tecniche dello sport. Al termine del periodo di apprendistato il contratto si risolve automaticamente. La società/associazione sportiva che stipuli un contratto di lavoro sportivo con il giovane atleta dopo la scadenza dell’apprendistato, senza soluzione di continuità, è tenuta al pagamento del premio di formazione tecnica ex art. 31 co. 2 in favore della società/associazione sportiva presso la quale l’atleta abbia precedentemente svolto attività dilettantistica, amatoriale o giovanile.
L’art. 26 disciplina il rapporto di lavoro del “lavoratore sportivo” di natura subordinata. Nel far ciò riprende anzitutto al comma 1 le esclusioni originariamente previsti dall’art. 4 co. 8 L. 91/1981: al pari del regime previgente si esclude infatti l’applicazione degli artt. 4, 5, 13 e 18 L. 300/1970, degli artt. 1, 2, 3, 5, 6, 7 e 8 L. 604/1996, n. 604, con l’aggiunta dell’esclusione dell’art. 1 co. da 47 a 69 L. 92/2012, degli artt. 2, 4 e 5 L. 108/1990, dell’art. 24 L. 223/1991 e del D.Lgs. 23/2015. Permane poi l’espressa esclusione dell’applicabilità dell’art. 7 L. 300/1970 alle sanzioni disciplinari irrogate al “lavoratore sportivo” dalle FSN, DSA e EPS: l’applicazione viene dunque fatta salva solo relativamente alle sanzioni inflitte dalle società sportive per violazioni attinenti agli obblighi contrattualmente assunti dal lavoratore. A quest’ultimo proposito occorre precisare che il rispetto dei principi contenuti nell’art. 7[1] va coordinato con quanto disposto negli accordi collettivi in cui sono contemplate sanzioni in parte diverse da quelle indicate dall’articolo in questione, e nei quali si prevede che l’irrogazione della sanzione avvenga al termine di un particolare procedimento ad opera direttamente della società o del competente collegio arbitrale.
Correttamente non si richiama l’esclusione degli artt. 33 e 34 L. 300/1970 (in quanto abrogati dal D.Lgs. 297/2092) e la L. 230/1962. (in quanto abrogata dal D.Lgs. 368/2001).
Si è dunque detto che vengono mantenute anzitutto le esclusioni ex L. 300/1970: circa gli artt. 4 e 5 dello Statuto dei Lavoratori, il primo vieta al datore di lavoro l’uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, e il secondo vieta accertamenti sanitari da parte del datore di lavoro sull’idoneità e sull’infermità per malattia o infortuni del lavoratore, se non attraverso il ricorso ad organismi pubblici (non a caso gli accertamenti sanitari in ambito sportivo sono disciplinati da norme specifiche). Continuano invece certamente ad essere applicabili al lavoro sportivo le disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 6 e 8 della stessa L. 300/1970. L’art. 2 concerne il divieto imposto al datore di lavoro di impiegare guardie giurate per scopi che esulano dalla salvaguardia del patrimonio aziendale: ciò non significa tuttavia che il datore di lavoro non possa destinare del personale ad attività di vigilanza, possibilità che infatti è espressamente prevista dall’art. 3, il quale impone però la preventiva comunicazione ai lavoratori interessati dei nominativi e delle mansioni svolte dai vigilanti. L’art. 6 vieta invece le visite personali di controllo sul lavoratore, a meno che le stesse non risultino indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, e prevede che tali ispezioni vengano effettuate all’uscita dei luoghi di lavoro, con un metodo “a campione”, e in ogni caso nel rispetto della dignità e della riservatezza del lavoratore. Pur essendo le norme appena richiamate astrattamente riferibili al lavoro sportivo, è evidente che le modalità di svolgimento dell’attività settoriale non lasciano spazio per una loro concreta applicazione: piena applicazione trova invece l’art. 8, ai sensi del quale al datore di lavoro è vietato effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali dei lavoratori, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione delle attitudini professionali dei lavoratori stessi.
Circa le esclusioni riferite alla L. 604/1966, lo sportivo professionista rientra tra le categorie di prestatori soggetti al licenziamento ad nutum, non trovando applicazione nei suoi confronti gli artt. 1-8 del provvedimento predetto sui licenziamenti individuali, né il già citato art. 18 Statuto dei Lavoratori. La risoluzione del rapporto sarà quindi regolata dagli artt. 2118-2119 c.c., salva, in ogni caso, la nullità del licenziamento per motivi discriminatori o comunque illeciti[2]. L’art. 2118 c.c. prevede che nel contratto a tempo indeterminato ciascun contraente possa recedere a sua discrezione dando preavviso o, in mancanza, corrispondendo un’indennità di mancato preavviso (equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso), e l’art. 2119 c.c. esclude che spetti il preavviso nel caso di recesso per giusta causa, salvo che non sia il lavoratore a dare le dimissioni per giusta causa, poiché in tal caso il datore di lavoro deve corrispondere l’indennità di mancato preavviso. In ogni caso, nelle ipotesi maggiormente riscontrabili nella prassi, cioè quelle di contratto a tempo determinato, è consentita, prima della scadenza del termine, la risoluzione consensuale del contratto mentre il recesso ante tempus, ovvero prima della naturale scadenza del termine previsto, non è consentito né al datore di lavoro, né al lavoratore, se non in presenza di una giusta causa (cioè di una situazione che renda impossibile per una delle parti proseguire negli impegni assunti, la cui ricorrenza va accertata in concreto, caso per caso, non essendo ipotizzabile una tipizzazione di tutte le possibili ipotesi idonee ad integrarne la fattispecie), in mancanza della quale il recedente è tenuto a corrispondere alla controparte il risarcimento del danno: nel settore specifico, preme ricordare che gli Accordi Collettivi disciplinano il recesso del calciatore per violazione degli obblighi contrattuali da parte della società o di morosità della stessa[3]. In ordine alla nozione di giusta causa, si richiama l’art. 15 del Regolamento FIFA sullo Status e sul trasferimento dei calciatori, rubricato “Terminating a contract with sporting just cause”, a mente del quale “An established professional who has, in the course of the season, appeared in fewer than ten per cent of the official matches in which his club has been involved may terminate his contract prematurely on the ground of sporting just cause. Due consideration shall be given to the player’s circumstances in the appraisal of such cases. The existence of sporting just cause shall be established on a case-by-case basis. In such a case, sporting sanctions shall not be imposed, though compensation may be payable. A professional may only terminate his contract on this basis in the 15 days following the last official match of the season of the club with which he is registered”[4]. Qualora manchi una giusta causa il recesso è dunque, come anticipato, illegittimo, e comporta l’obbligo del risarcimento dei danni in favore dell’altra parte: se a recedere ingiustificatamente è la società, questa sarà tenuta, ex art. 1223 c.c., a corrispondere al lavoratore le retribuzioni che avrebbe percepito se il rapporto non fosse stato risolto in maniera anticipata (da cui devono essere detratti eventuali proventi che l’atleta si sia procurato con una diversa occupazione), mentre se a recedere è il giocatore, stante la difficoltà di quantificare il danno derivante alla società (in quanto possono entrare in gioco diversi fattori, anche di segno opposto, che vanno dal costo non ammortizzato del giocatore, agli stipendi risparmiati, dal costo per l’ingaggio di un sostituto al beneficio o pregiudizio eventualmente derivanti sul piano del rendimento agonistico da una tal sostituzione, ecc.), la soluzione sembra essere quella di una determinazione convenzionale del danno da risarcire, attraverso il ricorso ai rimedi civilistici (inserimento nel contratto di una clausola penale ex art. 1382 c.c. o di una multa penitenziale ex art. 1373 co. 3 c.c.). Da ricordare infine che, sempre secondo l’art. 2119 c.c., il fallimento della società di calcio non costituisce causa di risoluzione del contratto, in particolare se la società fallita sia stata autorizzata dal tribunale all’esercizio provvisorio dell’azienda: in tal caso si applicherà la regola dello svincolo d’autorità e dell’autorizzazione ai giocatori a stipulare un nuovo contratto se la società venga esclusa dal campionato di competenza o le sia revocata l’affiliazione al termine della stagione sportiva nel corso della quale è stato autorizzato l’esercizio provvisorio.
In materia di controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 L. 300/1970 (art. 1 co. da 47 a 69 L. 92/2012), il richiamo a tali previsioni ne esclude l’applicabilità in materia di lavoro sportivo.
In materia di licenziamenti individuali (L. 108/1990), non si applicano si è detto gli artt. 2, 4 e 5: il richiamo all’art. 2 è collegato alla predetta esclusione degli artt. 2 e 8 L. 604/1966 (di cui costituisce modifica), il richiamo all’art. 4 esclude l’area di non applicazione ivi richiamata e quello all’art. 5 esclude le relative previsioni in materia di tentativo obbligatorio di conciliazione, arbitrato e spese processuali.
Il richiamo all’art. 24 L. 223/1991 esclude l’applicabilità delle norme in materia di riduzione del personale, mentre quello al D.Lgs. 23/2015 esclude l’applicabilità al lavoro sportivo delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Si ripropone la previsione in virtù della quale il contratto di lavoro sportivo può contenere l’apposizione di un termine finale non superiore a 5 anni dalla data di inizio del rapporto, si ammette la successione di contratti a tempo determinato tra gli stessi soggetti nonché la cessione del contratto prima della scadenza: a tal proposito si introduce il richiamo, in termini di esclusione, agli articoli da 19 a 29 D.Lgs. 81/2015 (riferiti appunto al lavoro a tempo determinato). Si mantiene altresì la previsione, oggi riportata al comma 4 dell’art. 26 (corrispondente all’art. 4 co. 7 L. 91/1981), in base alla quale le Federazioni possono prevedere la costituzione di un fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi per la corresponsione dell’indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva a norma dell’art. 2123 c.c.: tale disposizione, ereditata da un accordo collettivo del 1974, che per primo aveva previsto la costituzione di un fondo per l’indennità di fine carriera per gli allenatori e i calciatori appartenenti alla FIGC, fa sì che il fondo di cui si tratta, laddove sia costituito, sostituisce il TFR, che, altrimenti, viene corrisposto al termine del rapporto di lavoro, sulla base delle disposizioni della L. 297/1982 (istitutiva del TFR).
Altrettanto analogamente rispetto al quadro normativo previgente, si mantiene la possibilità, con identica formulazione, di inserire nel contratto di prestazione sportiva una clausola compromissoria per dirimere le controversie insorte tra società e tesserato, nonché l’esclusione della possibilità di apporre clausole di non concorrenza o comunque limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del rapporto.
L’art. 27, oltre alle previsioni già richiamate supra in materia di presunzione di subordinazione per gli atleti e di ipotesi di lavoro autonomo, riporta al comma 4 analoga formulazione a quella portata dall’art. 4 co. 1, laddove stabilisce che “Il rapporto di lavoro si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale, dalla disciplina sportiva associata e dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, sul piano nazionale, delle categorie di lavoratori sportivi interessate, conformemente all’accordo collettivo stipulato”. Si mantiene dunque in primo luogo l’imposizione della forma scritta ad substantiam (a pena di nullità) del contratto per la costituzione del rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso, secondo il contratto tipo predisposto conformemente all’accordo stipulato dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate. Ai fini dell’approvazione da parte della Federazione del contratto stesso, si mantiene anche la previsione per cui la società datrice di lavoro è tenuta a depositare presso gli organi federali[5], onere al quale può peraltro provvedere direttamente il prestatore. Tale approvazione, secondo l’orientamento giurisprudenziale, costituisce una condicio iuris che condiziona il perfezionamento della fattispecie contrattuale e, quindi, la produzione degli effetti voluti dalle parti, sicché in sua mancanza è negata qualsiasi efficacia al vincolo contrattuale[6]. Sulla controversa questione relativa alla forma scritta del contratto di lavoro sportivo professionistico, si richiama una sentenza della giurisprudenza di merito[7], a mente della quale “le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un accordo concluso tra soggetti assoggettati alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato, atteso che non può ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi. Ne deriva che ai sensi dell’art. 4 della L. n. 91/1981, che disciplina la costituzione del rapporto di lavoro subordinato sportivo in modo ‘specifico’, ogni patto aggiunto integrativo (informale) di quello principale (formalizzato) deve ritenersi nullo[8]. Il modello federale è infatti prescritto per permettere il controllo della Federazione sull’operato della società e di giudicare la convenienza e congruità dei bilanci”. Deve tuttavia rilevarsi come, a differenza del quadro previgente, viene fissato un termine pari a 7 giorni per provvedere al deposito e si prevede l’obbligo di depositare anche “tutti gli ulteriori contratti stipulati tra il lavoratore sportivo e la società sportiva, ivi compresi quelli che abbiano ad oggetto diritti di immagine o promo-pubblicitari relativi o comunque connessi al lavoratore sportivo”.
L’art. 28, di nuovo conio, è dedicato ai direttori di gara, i quali vengono ad intrattenere un rapporto di lavoro con la FSN, DSA o EPS competente.
Viene infine ad essere abolito, progressivamente con norme transitorie per andare a regime il 1° luglio 2022, il vincolo sportivo, con conseguente previsione di un premio di c.d. formazione tecnica: in ambito professionistico il vincolo sportivo era già stato eliminato dalla L. 91/1981, mentre in ambito dilettantistico continuava a vincolare i giovani calciatori dall’età di 14 o 16 anni sino ai 25 anni. Durante tale periodo, il tesserato poteva cessare il vincolo solo tramite il c.d. “svincolo per accordo” ex art. 108 NOIF, diversamente operando la necessità del consenso della società detentrice del tesseramento ai fini del “trasferimento” dell’atleta. La modifica determina senz’altro per l’atleta una ampia libertà di scegliere la società per la quale tesserarsi, ma anche la necessità per il settore dilettantistico di una nuova configurazione del movimento al fine di sopperire al mancato introito che remunerava l’investimento nella formazione del giovane calciatore. Le Federazioni dovranno individuare la misura del premio, sulla base di criteri legati all’età degli atleti, alla durata e al valore economico del contratto di prestazione sportiva nel caso di tesseramento per società professionistiche.
Con riguardo allo sport femminile, la qualificazione del lavoratore sportivo “senza alcuna distinzione di genere” determina la possibilità che le FSN riconoscano al proprio interno un settore organizzato in forma professionistica anche a livello femminile. Occorre ricordare in proposito i due precedenti interventi normativi rispetto alla riforma di cui trattasi, riferendoci in particolare a:
– legge di bilancio 2019, il quale ha previsto uno sgravio fiscale a favore delle società che avessero sottoscritto con atlete contratti di prestazione sportiva;
– previsione di un fondo triennale con sgravi fiscali a favore delle FSN che avessero deliberato l’introduzione di un settore professionistico femminile, norma antesignana dell’attuale e trasfusa nell’art. 39 del decreto in commento.
In ambito calcistico, occorre poi ricordare come FIGC abbia deliberato l’avvio di un inter volto al riconoscimento del settore professionistico femminile a decorrere dalla s.s. 2022/2023.
[1] Affissione del codice disciplinare allo scopo di garantire la preventiva conoscenza delle infrazioni disciplinari e delle relative sanzioni, preventiva contestazione dell’addebito, rispetto dei termini a difesa concessi al lavoratore, diritto del lavoratore di ricorrere in sede giudiziaria o attivare una speciale procedura arbitrale presso la Direzione provinciale del lavoro.
[2] Da sottolineare che il mancato richiamo dell’art. 15 Stat. Lav. e dell’art. 4 L. 604/1966, relativi al licenziamento discriminatorio, da parte della norma suddetta, induce a ritenere che tali disposizioni siano invocabili anche dallo sportivo professionista il quale, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, potrà richiedere la nullità del provvedimento adottato nei suoi confronti e soprattutto godrà della tutela reale che l’art. 3 della L. 108/1990 (“Disciplina dei licenziamenti individuali”) ha previsto, modificando l’art. 18 Stat. Lav. e estendendo l’applicazione delle due norme citate anche alle società sportive.
[3] Sul punto cfr. Alessi, La rescissione del contratto del calciatore professionista, in www.giustiziasportiva.it, n. 3/2011.
[4] “Un professionista affermato che abbia disputato, nel corso di una stagione agonistica, meno del 10% delle gare ufficiali alle quali partecipava la sua società, può risolvere il suo contratto prima della scadenza naturale per giusta causa sportiva. Nella valutazione di tali casi, verrà tenuta in considerazione ogni circostanza specifica concernente il calciatore. L’esistenza della giusta causa sportiva dovrà essere accertata caso per caso. Non saranno irrogate sanzioni sportive anche se può essere richiesta un’indennità. Il professionista può porre fine al suo contratto per giusta causa sportiva solo nei 15 giorni successivi all’ultima gara ufficiale della stagione disputata per la società per la quale è tesserato”. In dottrina cfr. Mesto, I replacement costs nell’indennità dovuta dal calciatore che recede senza giusta causa (nota a lodo TNAS 2010/A/2145 – De Sanctis/Udinese, 28.02.2011), in www.giustiziasportiva.it, n. 2/2012.
[5] In realtà, il deposito e la successiva approvazione avviene presso la Lega di appartenenza della società contraente.
[6] Cass., sez. lav., 12 ottobre 1999, n. 11462 in Riv. dir. sport., 1999, pagg. 530 e segg.; Cass., sez. lav., 8 giugno 1995, n. 6439, in Lavoro nella giur., 1996, pagg. 250 e segg.; Trib. Roma 16 gennaio 1997, n. 844; Trib. Pescara 16 marzo 1995, in Rass. dir. civ., 1996, pagg. 449 e segg.; Trib. Treviso 3 marzo 1994, in Riv. dir. sport., 1994, pagg. 683 e segg.; contra, Trib. Perugia 10 aprile 1996, in Rass. giur. umbra, 1996, pagg. 417 e segg.; in dottrina, tra gli altri, De Cristofaro, Legge 23 marzo 1981, n. 91, in Le Nuove leggi civili commentate, 1982, p. 595.
[7] Trib. Teramo 8 novembre 2007, n. 826.
[8] Sul punto cfr. Cass. Civ. sez. III 23 febbraio 2004, n. 3545 nonchè Trib. Taranto, sent. n. 4570/2012, a tenore della quale la somma, di cui parte resistente non contesta l’incasso, erogata in eccesso rispetto all’importo previsto nel contratto scritto depositato in Lega, effettivamente “costituisce un indebito oggettivo e va quindi restituita ex artt. 2033 e 1422 c.c., essendo nulla la pattuizione difforme” rispetto a quella risultante dal predetto contratto, ai sensi degli artt. 4 e 12 L. 91/1981.
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